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sabato 30 ottobre 2010

(1963) Il Lungo Assedio




Inchiesta tra gli Studenti Universitari che hanno Occupato le Facoltà di Architettura


Nel piccolo Alcazar degli universitari romani si respira già aria di vittoria, ma nessuno abbandona il campo.   Picchetti di vigilanza agli ingressi.   Squadre di scioperanti che riposano a turno sui materassi pneumatici buttati sopra i tavoli da disegno.   L'enorme fabbricato di stile littorio, isolato sopra gli alberi di Valle Giulia, è ancora un bivacco vociante di giovanotti con la barba lunga e di ragazze che distribuiscono coperte, giornali, panini.
L'assedio è praticamente finito, si entra e si esce, ma fuori c'è ancora una cintura di sicurezza fatta di camionette color mostarda e di carabinieri che passeggiano in coppia, giorno e notte.
Una delle più strane agitazioni sindacali di questi anni si avvia alla conclusione.   La parola fine non spetta più agli studenti.   L'ultimatum posto dall'autorità accademica è scaduto da una settimana ma non è accaduto niente di nuovo.   Sui tabelloni coperti di rosse scritte programmatiche, il comitato di agitazione incolla intanto i telegrammi di solidarietà spediti ai combattenti romani dai colleghi che a Milano e a Torino hanno già avuto partita vinta.
Si aspetta e si discute.   L'assemblea generale si riunisce almeno un paio di volte al giorno e va avanti per ore e ore, alla russa, con centinaia di interventi.   C'è anche la variante delle tavole rotonde, cui partecipano uomini politici e rappresentanti del mondo della cultura.   Autorevoli personaggi si alzano a incoraggiare, a definire le idee più confuse.   Sembra che l'uditorio, quasi unanime, propenda a sinistra.   Per esempio, si alza a parlare il deputato socialista Vecchietti e gli applausi scrosciano.   Dice la sua il liberale Storoni, in termini più moderati, e lo interrompono i fischi.   In mezzo ai concetti seri e concreti, vagano dentro l'aula magna anche discorsi da marziani.   "Questo è il momento della chairezza", dicono i futuri architetti, nati quasi tutti durante gli anni di guerra.   Ma poi sostengono che il dialogo con gli insegnati dev'essere d'ora in poi, "a livello decisionale".   Loro non vogliono più cadere in "un'alienazione di tipo tecnicistico", esigono la "ristrutturazione della facoltà", perchè lo studente non può essere più considerato "un elemento passivo nel processo di acquisizione culturale".
[...]
Nerio Minuzzo
da "L'EUROPEO" (7 aprile 1963)

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