ODETTA.: UNA MONTATURA
La “folk singer” Odetta, che negli Stati Uniti ha raggiunto nel giro di un paio d’anni una grande popolarità, ha dato un paio di “recital” per il Teatro Club di Roma ai primi di dicembre (1962).
Ha avuto un grande successo presso un pubblico poco addentro nel mondo della musica popolare negro-americana, ma ha deluso gli intenditori
[…] Odetta, non avrebbe sicuramente messo a rumore l’ambiente del jazz se gli articoli di molti sprovveduti critici, le dichiarazioni di altrettanto compiacenti artisti, le note di copertina dei microsolco non l’avessero presentata come “la cantante più rappresentativa del blues americano”.
Ha cominciato Harry Belafonte a esprimere un giudizio lusinghiero su Odetta, dicendo: “ io sono stato costretto, dalla sua arte, ad affrontare il mio normale repertorio con maggiore impegno, e a meglio approfondire il significato e il contenuto poetico delle canzoni”.
La sua carriera, per i molti aiuti avuti, è stata eccezionalmente ricca di successi; Odetta, che ha solo una trentina di anni, trasferitasi dall’Alabama (dove è nata) a Los Angeles, iniziò lo studio della musica classica, dedicandosi poi alla musica folkloristica ed al blues.
Ha così avuto inviti alle principali manifestazioni degli ultimi anni, durante i quali si è esibita al Festival di Monterey, di Newport, in concerti a Castle Hill, all’International Music Fair, alla Carnegie Hall, alla Town Hall, all’Orchestra Hall, a Wilshire Ebell, alla Jordan Hall, all’Università del Michigan, all’Università dell’Illinois, all’Università del Wisconsion, all'Università della California, al Rosari Collage.
I suoi microsolco […], malgrado le panzane dovute anche a penne illustri, ma evidentemente schiave delle case discografiche, denunciano chiaramente i suoi limiti e, soprattutto, il suo genere, che è quello del folklore anglo-americano.
Con questo non vogliamo muovere alcun rimprovero al “Teatro Club” che ha organizzato i concerti romani e che, fedele al suo programma, ha presentato ai soci Odetta, la cui fama in America è in continuo crescendo. Né possiamo far colpa al servizio stampa del “Teatro Club” che, tagliando qua e là brani di presentazione dei dischi pervenuti, ha compilato un comunicato stampa, distribuito a tutti i giornali, denso di notizie che non avevano il minimo fondamento critico. Abbiamo così letto nel programma, che Odetta, insieme ad Ella Fitzgerald ed a Sarah Vaughan, è da considerarsi la più grande cantante di blues; che musicalmente si avvicina allo stile di Bestie Smith e di Leadbelly; che il suo stile è assolutamente personale, e così via.
Dal punto di vista dello spettacolo, in definitiva, le cose non sono andate poi male. Il teatro era esaurito per gli abbonamenti e per le facilitazioni concesse a numerosi circoli, ed il pubblico, quanto mai impreparato, ha applaudito ogni numero, decretando il trionfo alla cantante negra, che ricorda Ella soltanto per il colore della pelle ed il peso.
Il repertorio, come era facile immaginare, nulla aveva a che fare con il blues, salvo rare eccezioni. […]
Odetta ha innanzitutto lo svantaggio di una preparazione classica che non riesce a dimenticare mai e che si avverte in ogni suo pezzo: non nella estensione od emissione della voce, ma nell’impostazione, nel senso più deteriore della parola. Questa preparazione classica non le impedisce comunque di calare spesso e volentieri, paurosamente. La sua maggiore preoccupazione sembra essere quella di cercare effetti di sicura presa sul pubblico, forzando la voce per raggiungere toni altissimi o bassissimi, a scapito di quella che potremmo chiamare logica interpretativa. A questo punto, cercare parentele stilistiche sarebbe di cattivo gusto, perché Odetta ha certamente ascoltato tutti i cantanti di cui alle strombazzature pubblicitarie, ma di nessuno di essi ha assimilato lo stile, limitandosi ad impostare le sue interpretazioni, volta a volta, secondo lo stile di questo o di quello ed ottenendo il risultato, non di essere personalissima, ma di rifarsi a tutti.
Lo spettacolo – e più triste di così non poteva essere - ha avuto il tono di un cenacolo per la presenza di certo Achille Milo, che ci hanno detto essere un attore, il quale leggeva i testi delle canzoni che poi Odetta avrebbe interpretato accompagnandosi con la chitarra – neppure questa suonata al modo dei blues-singers – e con il sostegno di un bassista che era troppo coperto perché si potesse giudicare la parte del suo lavoro.
[…]
Roberto Papasso
(Musica Jazz, febbraio 1963)
Lato a)
- 900 miles (p.d.)
- Blowing in the wind (dylan)
- Maybe she go (delaplane)
- I never will marry (p.d.)
- Yes I see (gibson)
- Why oh why (guthrie)
Lato b)
- Shenandoah (p.d.)
- The golden vanity (p.d.)
- Roberta (p.d.)
- Anthem of the rainbow (tellis-cosbey)
- All my trials (p.d.)
- This little light of mine (p.d.)
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