La relazione che, sul finire della passata legislatura, presentava ai parlamentari la riforma della scuola media, rivelava, tra l’altro, che nel 1961 il 20 per cento dei ragazzi tra gli11 e i 14 anni avevano disertato la cosiddetta “scuola dell’obbligo”, creata appunto per prolungare di tre anni l’antica quinquennale scuola elementare e per ampliare quel minimo di istruzione che ogni cittadino italiano dovrebbe avere. Una successiva indagine circa le cause di così abbondante violazione della legge, di fronte alla quale i carabinieri assai poco possono fare, chiariva che, su cento evasori dell’obbligo scolastico post-elementare, 46 erano tali per incuria dei genitori (leggi, dunque, per povertà); 36 per ragioni di lavoro (ed anche qui scopri, appena coperto da una plausibile ragione, l’imperativo economico); 13 per l’eccessiva lontananza della scuola dall’abitazione; 5 per malattia.
Per quello che ciò può servire a contrastare le ragioni dell’indigenza, la nuova scuola media unificata non impone più tasse d’iscrizione, né di frequenza. La legge di riforma propone inoltre, dato che in certi casi pratici il disporre diventa al massimo un buon proposito, di istituire servizi di trasporto per studenti e di organizzare il doposcuola. Ma la dispersione d’una larga porzione della popolazione italiana nelle campagne è ostacolato che né il tempo, né la buona volontà riusciranno facilmente ad eliminare. Ancora 5 mila e passa comuni non hanno una scuola, alla quale i ragazzi possano iscriversi dopo aver finito, alla meglio e spesso in scuole con classi plurime, le elementari. E per quanto si possa fare in futuro, bruciando le tappe del piano della scuola, ci saranno sempre in Italia – lo assicurano i competenti - circa 600 mila ragazzi ai quali non sarà possibile frequentare la scuola media se non trasferendosi altrove: o seguendo i corsi di Telescuola.
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(Radio Corriere TV – 30 giugno 1963)
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