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lunedì 18 aprile 2011

(1963) rivista - MUSICA JAZZ (lettere al direttore)




Pessimismo sul Jazz Moderno


Chi come me, abbia avuto la sventura di vedere la trasmissione televisiva dei “Maestri del Jazz” dedicata a Sonny Rollins, spero abbia potuto rendersi definitivamente conto a quale meta inconcludente e vana sia approdata questa nostra povera, tormentatissima musica che, nonostante tutto, io continuo ad amare, nella speranza che compaia qualcuno, fornito di buon cervello e con qualche nuova valida idea, che rinsangui un poco l’ormai troppo anemico corpo jazzistico.
Si, perché se Sonny Rollins è da considerare uno tra i migliori jazzisti moderni, un profeta (che poi di profetico ha solo la barba), immaginiamo a quale livello saranno i suoi innumerevoli imitatori sassofonisti.
Avrà indubbiamente – così almeno si dice - una notevole tecnica strumentale, ma quei cacofonici versacci che escono dal suo pifferone o dalla striminzita tromba di Don Cherry non fanno che convincermi sempre più che questi signori avranno, sì, labbra di cuoio e polmoni d’acciaio, ma anche la testa assolutamente vuota.
Per convincersi di ciò basterebbe prendere per esempio, pur senza farne un’analisi musicalmente profonda, quel “Non dimenticar” con cui Rollins ha aperto la rubrica. Che cos’è se non un brano mal riuscito e di cattivo gusto, un vano tentativo di abbellire il tema con quegli inutili arzigogolamenti?
Un’altra caratteristica negativa di questi, più o meno nuovi, musicisti è la banalità dei temi eseguiti, che mi paiono un pretesto per improvvisare qualcosa. Ma quando la base tematica è così mal sicura, immaginiamoci se potrà resistere l’impalcatura dell’improvvisazione!
Vien da rimpiangere i miei tempi, ovvero quelli di Parker, Tristano, degli stessi Mulligan e Lewis. Parker aveva una forma piuttosto rozza per esporre la sua musica, ma quanta sostanza in essa! Mulligan sa essere un finissimo umorista; John Lewis è quel gran formalista che tutti conosciamo. Tutti costoro hanno dei lati positivi. Ma Rollins, Coltrane, Coleman, ecc., che cosa fanno se non scopiazzare qua e là, oppure suonare delle cose astrusissime?
A questo punto io mi chiedo che cosa debba fare – esaurito l’ascolto del repertorio jazzistico fino a Lewis o tutt’al più a Monk, cioè del repertorio valido – un poveraccio che voglia ascoltare un po’ di musica buona?
Non sarà forse il caso di intraprendere un’altra strada, come quella che conduce alla musica “seria” contemporanea?
Una volta affinata la nostra sensibilità musicale – e molto jazz, specialmente moderno, penso serva anche a questo – non è mille volte meglio gustarsi la “Sagra della Primavera” di Stravinsky anziché ingurgitare le cacofonie rollisiane?

Gilberto B. (ferrara)

 
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Premetto che sono un amatore del jazz niente affatto tradizionalista, cioè di quelli che apprezzano solo il jazz tradizionale: al contrario, tutti i periodi e le forme del jazz mi interessano. Premetto anche che, per quanto mi riguarda la tecnica e la teoria musicale, so solo che esistono sette note.
Ora, mi è capitato di assistere alla televisione ai due programmi de “I Maestri del Jazz” dedicati a Coltrane e a Rollins, che, contrariamente al solito, non avevo potuto ascoltare nei concerti milanesi. Dire che sono rimasto deluso è la frase esatta, ma molto più per il tanto osannato Coltrane che per Rollins.
Beati i musicisti come Basso, i quali riescono a seguire, e capire fino al 70 per cento, quello che Coltrane esegue; e un plauso a loro che hanno l’onestà di riconoscerlo. Io mi domando, ed è questo che vorrei mi spiegasse, come fa uno come me, e penso siano in parecchi nelle mie condizioni (cioè che non conoscono la musica), non dico a capire, ma anche soltanto a seguire le fantastiche evoluzioni di Coltrane, infiorate di sberleffi come qualcuno ha voluto chiamarli, inauditi.
Qualche anno fa i critici (e facevano benissimo) avevano parole di fuoco per quelle jam session organizzate da Granz per il JATP, dove gli stessi sberleffi, o pressappoco, facevano tipi come Illinois Jacquet o Flip Phillips, cercando di divertire il pubblico che, bontà sua, si divertiva. Forse anche Coltrane cerca di divertire il pubblico.
Mi sembra che nel jazz sia in atto una evoluzione simile a quella in atto nelle arti figurative: l’artista fa cose che ben pochi sono in grado di capire, o almeno capiscono per il 70 per cento; e il pubblico (quello che non è musicalmente preparato) non capisce, oppure fa finta di capire.
Anche invocando la libertà di espressione tanto cara agli artisti, questo non mi sembra, non dico onesto, ma giusto verso il pubblico.

Franco F. (sesto s. giovanni)
 
 
 
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[…]
“E’ musica astrusa, esoterica, non la capisco e non mi fido. Perché i critici che criticavano le logorroiche jam-session del “Jazz At The Philharmonic” ora lodano Coltrane e Rollins, che mi lasciano perplesso e deluso?”
“Il jazz è arrivato a un punto morto, a un cul-de-sac in cui le idee non ci sono più, esiste solo una tecnica, una ricerca del suono per il suono, i temi sono gracili, mancano di personalità…. E allora non è meglio ascoltare la musica seria contemporanea, per esempio delle belle pagine di Stravinsky, anziché annoiarsi con Rollins?”
Tutti e due i lettori hanno una certa parte di ragione. Oggi, è vero, il jazz si è indirizzato, seguendo più o meno inconsciamente le strade accidentali dei musicisti “seri” contemporanei, verso le accidentate strade di uno sperimentalismo che sembra ripudiare la costruzione musicale e preferirle la macchia sonora, gli “stracci” di suono, la dissoluzione dell’idea nel new-sound, i cui confini col rumore, un tempo stabiliti con un certo rigore dalla fisica, oggi vengono disinvoltamente calpestati. Francamente non so se la musica di Karlheinz Stockhausen – cito un grosso nome dei “seri” più arrabbiati – e quella di Coltrane o anche di Coleman (al quale ultimo è d’uopo tuttavia riconoscere una più netta personalità) possa considerarsi un punto di partenza o una tappa verso una nuova forma d’arte musicale: certo non è un punto d’arrivo. […] Non vorrei peraltro che la tante volte constatata “crisi” del jazz attuale conducesse alle solite profezie da Cassandra. No, il jazz non è morto e non potrà morire: sono le grandi personalità che ogni tanto intervengono, come fresca corrente impetuosa, a rimuovere le acque stagnanti- […] Coltrane, Rollins, artisti tormentati dallo stile inquieto e instabile, sono assai probabilmente degli artisti di transizione. […]
Non troppo pessimismo dunque, anche se i dubbi e le amarezze hanno serie giustificazioni in questo momento storico.

Giancarlo Testoni
(“musica JAZZ” – ottobre 1963)

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