.
..
.
In America Harry Belafonte mi prese immediatamente sotto la sua ala. Era così buono con me – come un fratello – che iniziai a chiamarlo “Big Brother”. Per il mio debutto al Village Vanguard, Julie, la moglie di Big Brother, si occupò della mia mise. […] Big Brother mi fissò un appuntamento per andare a farmi i capelli. Lui intendeva che mi li facessi stirare. Quando ritornai in hotel, mi guardai allo specchio con quei capelli dritti. Li lavai! Da allora decisi di tenere i capelli corti e naturali. Fui felice di averlo fatto. Anni dopo lessi un articolo che sosteneva che il mio stile di capelli naturale aveva dato il via alla moda afro in America; fu una bella sensazione. […] Quando Big Brother mi vide quella sera con i capelli naturali fu scioccato. Esclamò: “Zenzi, cos’hai fatto?”. Gli dissi: “Non sembravo io, Big Brother!”
Il Village Vanguard era - lo avrei scoperto quasi subito - uno dei locali di Manhattan. Era nel Greenwich Village. Max Gordon gestiva il posto dagli anni ’30. Il locale aveva lanciato molte carriere, compresa quella dello stesso Big Brother, Pearl Barry e Eartha Kitt. Mi bollarono come “La cantante jazz sudafricana numero 1”. Jazz? Sapevo di non cantare jazz. Ma cantai. Quella sera il club era pieno zeppo. Salii sul palco e sorrisi alla mia band. Il signor Belafonte mi aveva insegnato un trucco: in un nightclub non iniziare mai a cantare finchè le gente non tace. Aspettai il silenzio. Quella notte aprii al Village Vanguard e cantai le canzoni che ero riuscita a insegnare ai musicisti. Naturalmente cantai Into Yam e Back of the moon, Jikele Maweni, The Warrior Song e altre canzoni. Quando cantai Qongqothwane, una canzone dei Manhattan, impazzirono tutti. Amavano quello che chiamavano i suoni con il “click”. […]
Era il 2 dicembre 1959. Le mie esibizioni al Village Vanguard duravano da un mese e ogni sera era tutto esaurito. Con in mezzo poco più di un intervallo natalizio […] andai ad esibirmi al Blue Angel Club. […] si trovava nei quartieri alti di New York. Anche là venne a vedermi molta gente. Poi suonai a Las Vegas e nel giro di sei mesi mi stavo esibendo all’Empire Room, il posto per suonare più esclusivo del Waldorf Astoria! Uno incomincia a capire quali posti sono grandi e quali no: io stavo salendo velocemente la scala del mondo dello spettacolo!
[…] Facevo spettacoli in tv. Parlavano di come mi vestivo, di ciò che indossavo, dei miei capelli corti. Menzionavano i miei gioielli, il mio portamento, il modo in cui ballavo. Semplicemente, io ero del tutto diversa. […]
In America mi accorsi di essere più o meno una novità. Mi fecero rendere conto che la mia forza era nel restare fedele alle mie radici. Cantando la musica di casa, cantando la musica delle mie radici, solo così sarei potuta essere qualcuno. […]
Attraverso la mia musica, ero diventata la voce e l’immagine dell’Africa e del suo popolo senza neanche accorgemene. […]
Il Village Vanguard era - lo avrei scoperto quasi subito - uno dei locali di Manhattan. Era nel Greenwich Village. Max Gordon gestiva il posto dagli anni ’30. Il locale aveva lanciato molte carriere, compresa quella dello stesso Big Brother, Pearl Barry e Eartha Kitt. Mi bollarono come “La cantante jazz sudafricana numero 1”. Jazz? Sapevo di non cantare jazz. Ma cantai. Quella sera il club era pieno zeppo. Salii sul palco e sorrisi alla mia band. Il signor Belafonte mi aveva insegnato un trucco: in un nightclub non iniziare mai a cantare finchè le gente non tace. Aspettai il silenzio. Quella notte aprii al Village Vanguard e cantai le canzoni che ero riuscita a insegnare ai musicisti. Naturalmente cantai Into Yam e Back of the moon, Jikele Maweni, The Warrior Song e altre canzoni. Quando cantai Qongqothwane, una canzone dei Manhattan, impazzirono tutti. Amavano quello che chiamavano i suoni con il “click”. […]
Era il 2 dicembre 1959. Le mie esibizioni al Village Vanguard duravano da un mese e ogni sera era tutto esaurito. Con in mezzo poco più di un intervallo natalizio […] andai ad esibirmi al Blue Angel Club. […] si trovava nei quartieri alti di New York. Anche là venne a vedermi molta gente. Poi suonai a Las Vegas e nel giro di sei mesi mi stavo esibendo all’Empire Room, il posto per suonare più esclusivo del Waldorf Astoria! Uno incomincia a capire quali posti sono grandi e quali no: io stavo salendo velocemente la scala del mondo dello spettacolo!
[…] Facevo spettacoli in tv. Parlavano di come mi vestivo, di ciò che indossavo, dei miei capelli corti. Menzionavano i miei gioielli, il mio portamento, il modo in cui ballavo. Semplicemente, io ero del tutto diversa. […]
In America mi accorsi di essere più o meno una novità. Mi fecero rendere conto che la mia forza era nel restare fedele alle mie radici. Cantando la musica di casa, cantando la musica delle mie radici, solo così sarei potuta essere qualcuno. […]
Attraverso la mia musica, ero diventata la voce e l’immagine dell’Africa e del suo popolo senza neanche accorgemene. […]
.
.
.
estratto da "La Storia di Miriam Makeba" (una conversazione con Nomsa Mwamuka) - Edizioni Gorée (2009)
.
Cari Amici, è con grande piacere che vi informiamo che, nell'ambito dell'iniziativa MIRIAM MAKEBA TRIBUTE, organizzata dal MOVIMENTO DEGLI AFRICANI IN ITALIA, sabato 13 marzo alle ore 21 a Roma, presso l'AUDITORIUM DI SANTA CECILIA, si terrà un grande concerto in memoria della grande cantante Sudafricana.
RispondiEliminahttp://www.aprileonline.info/notizia.php?id=142931