“Ciao, sono Nanni Ricordi. Piacere. Sei di Genova anche tu? Anche mia mamma: per l’esattezza è di Santa Margherita”.
Visto che lui è il Grande Capo e mi dà del tu, cominciamo bene. Quel “tu” alla quacchera, di primo acchitto… chi è, Giusti?... Va beh: chi se ne frega… Le labbra di Nanni si tendono a formare una specie di doppia linea, prima che diventi un sorriso: “Qui siamo un gruppo di lavoro che inizia – continua – e mi piacciono molto le cose che stai facendo con Bindi e gli altri”.
È il 1958, e gli “altri” sono Gianfranco Riverberi, Luigi Tenco, Gino Paoli e Bruno Lauzi…. E ci vuole coraggio e grinta per dire: “Mi piacciono questi autori” e inventar loro un ruolo di cantanti, oltre che di autori. Nanni ce l’ha. E tutto il gruppo dei “genovesi” gli è debitore, più Gaber, Jannacci, Endrigo:… “No Nanni, no cantautori”! […]
Giorgio Calabrese
.
Ritornato dall’America con la moglie Marisa, nel 1957 apparve ovvio il suo ingresso nell’azienda di famiglia, della quale lui e la sorella Madina possedevano il dieci per cento delle azioni. E qui si vide la lungimiranza di Nanni e la sua determinazione. La musica lirica e classica italiana erano da anni in piena crisi commerciale: grandi investimenti e scarsi risultati economici. Così Nanni disse al consiglio di amministrazione: o costituite un dipartimento dedicato alla produzione di dischi di musica leggera o non se ne fa niente.
A quel tempo io ero in Ricordi già da cinque anni, come responsabile delle edizioni cartacee di musica classica […] Avevo trent’anni e Nanni ventisei. Mi disse: “mi hanno dato via libera, facciamo i dischi: vieni con me come vice direttore. E per prima cosa diamoci del tu”, che allora non si usava.
Dissi “okey”, e incominciammo l’avventura.
Franco Crepax
.
Seguivo con attenzione il lavoro di Nanni, dalle prime produzioni di Gaber , alle “canzoni della malavita” della Vanoni, fino all’esordio nel 1959, di artisti come Bindi, Paoli, Tenco, Jannacci (nel gruppo dei “Cavalieri”), cui in seguito si aggiunse Endrigo, e il rilancio di parecchi altri nomi legati a modelli più tradizionali, come il “Quartetto Cetra”, Nuccia Bongiovanni (voce fissa al Musichiere in TV), Emilio Pericoli (che nel ’61 avrebbe sbancato le charts USA con Al di là), ecc.
In un mercato così ricco di fermenti e di emissioni d’ogni genere come era quello italiano dell’epoca, l’impresa di sviluppare una nuova azienda non era certo semplice, anche se una mano preziosa veniva offerta dall’appoggio delle edizioni collegate (Arrivederci di Bindi conquistò i primi posti in classifica nella versione di Marino Barreto jr. e permise all’autore di farsi conoscere a una più ampia cerchia di pubblico). Furono necessari molti mesi prima che il marchio “Dischi Ricordi” s’imponesse come una delle più solide realtà nell’industria musicale in Italia. Decisiva fu, nel 1960, la partecipazione a Sanremo (come autore) di Umberto Bindi con È vero, interpretata da Mina. Il brano ebbe un eccellente riscontro di vendite anche nella versione di Bindi “un autore e cantante che ha portato un fresco alito di vita alla canzone italiana” scrissi recensendo il disco nella rubrica che su “Musica e Dischi” aveva sostituito quella di Zivelli, e di cui avevo assunto il coordinamento.
E subito dopo, Bindi esplose definitivamente anche come interprete. Il nostro concerto raggiunse il primo posto fra i dischi 45 giri più venduti in Italia nel 1960. Nell’arco di soli due anni il lavoro di Nanni Ricordi, aveva raggiunto i suoi obiettivi, e l’azienda figurava ormai a pieno titolo fra le più importanti case fonografiche sul mercato. Un risultato che lasciò sorpresi tutti gli operatori del settore (me compreso).
Mario De Luigi
Tutto cominciò quando arrivai a Milano per fare il militare. Iniziai ad andare in giro a suonare nelle cantine. Erano una specie di “cave” alla francese. In ogni palazzo c’era qualcuno che suonava e aveva una cantina adibita a sala musica. Erano tutte piccole come il Santa Tecla, ma in questo modo ho cominciato a conoscere Jannacci, Gaber, insomma, tutta questa gente. Avevamo poi formato un complesso in cui c’era anche Tenco: l’avevo fatto venire da Genova per fare delle serate con Celentano come cantante. E finito il militare tornai subito a Milano dove ormai conoscevo un po’ tutti. Già prima di fare il militare cercavo di bazzicare la capitale lombarda per fare qualche cosa, ma allora non succedeva assolutamente niente. La rivoluzione infatti avvenne dopo l’arrivo del jukebox.
Dall’arrivo del jukebox in poi, infatti, praticamente più nessuno ascoltava la RAI. Ascoltavano tutti il jukebox, e questo iniziò a cambiare il nostro mondo musicale.
Dopo il militare, feci il mio primo periodo alle Edizioni Ricordi. Il primo contatto con i dischi, “l’altra parte”, avvenne quando fui chiamato alla Dischi Ricordi, e lì conobbi Nanni, Franco Crepax, e tutti gli altri. Nel reparto dischi, serviva una ricerca di cantanti. Per prima cosa portai tutti gli amici che avevo a Genova. Quelli che conoscevo e quelli che sapevo che avevano delle qualità e quindi delle possibilità.
E qui c’è un piccolo aneddoto che riguarda Gino Paoli, cui feci fare un provino che diedi all’allora direttore artistico, Arduino, anche lui uno di Genova, che mi rispose: “Guarda che di questo non ce ne frega niente”. Ma io ci credevo, e soprattutto Gino era anche un amico: volevo che rimanesse nel giro. Così chiamo Giorgio Calabrese, che lavorava alla “jukebox”, casa discografica di Carlo Alberto Rossi, e gli dico: “Senti Giorgio, se ti dovesse telefonare qualcuno per dirti se state per fare un contratto a un certo Gino Paoli, tu digli di sì!”
In quel momento Rossi stava facendo un sacco di successi con Jenny Luna, Joe Sentieri e tanti altri. Quindi torno da Arduino e gli dico: “Senti un po’, Paoli sta per fare un contratto Con Carlo Alberto Rossi…”, e lui: “No, no, facciamoglielo noi, però più di tre elementi non ti do”.
Così arrivò Gino Paoli.
Con soli tre strumenti, però, non sapevo proprio come fare. Allora telefonai a mio fratello Giampiero, che era molto più giovane di noi, aveva ancora i calzoni corti, ma musicalmente era molto più geniale, e gli dissi: “Senti, dammi una mano, non so proprio come venirne fuori…”.
Arrivarono da Genova con il solito basso, batteria e… un flauto!
Lo studio, cioè la sala di registrazione alla Ricordi, era anche un po’ il magazzino degli strumenti musicali del negozio e Gino si fece dare anche un organo, una spinetta, un pianoforte e un clavicembalo. Insomma aveva tutto intorno. Praticamente suonava tutti questi strumenti più il basso e la batteria e il flauto. Mi avevano detto che non potevano pagare più di cinquemila lire per ogni arrangiamento e lui aveva fatto i primi quattro. Nelle cinquemila lire era compreso viaggio, vitto, alloggio, arrangiamento, esecuzione… tutto quanto! E mio fratello era venuto a Milano solo per farmi un piacere.
[…]
Gianfranco Riverberi
.
Gino - Ci siamo conosciuti (con Tenco) perché lui stava montando una commedia per una filodrammatica che si chiamava Masterpiece, e una delle ragazze che doveva recitare era amica di quella che poi sarebbe diventata mia moglie, quindi ci siamo trovati lì e abbiamo cominciato a fare gli attori e siamo diventati amici, passavamo tutte le giornate insieme, sempre, per anni. Lui suonava il sax, il pianoforte e la chitarra, e io suonavo la batteria, la chitarra e avevo cominciato a suonare la tromba. Ma tutte le cose così, per imitazione: Come fanno tutti i ragazzini. Senza avere intenzione di fare quel mestiere lì. Luigi poi aveva anche il problema del fratello, che non solo non ne voleva sapere di quello che faceva, ma se ne vergognava. Ma era normale allora per le famiglie genovesi, con un figlio che non voleva fare l’università, ma il musicista o il pittore. E per quelle piemontesi era ancora peggio. Il fratello arrivò addirittura a proibirgli di usare il suo cognome perché sennò gli rovinava l’industria di vini!
Nanni – Sì. Era per questo che prima si chiamava Dick Ventuno e poi con quell’altro nome…
Gino – Gigi Mai. L’avevamo trovato io e Riverberi. E ne aveva ancora un altro. Gordon Cliff, mi pare. L’ha cambiato tre o quattro volte, finchè si è rotto le palle e ha detto basta!
[…]
Nanni – Gino poi faceva le copertine per i nostri dischi. Me ne ricordo una bellissima per Endrigo:
Gino – Sì, ero il grafico del gruppo. E ho continuato a farlo fino al 1962. Quindi, le prime copertine, anche le mie, le facevo io. Ma era tutto molto informale. Direi che la cosa più importante era che eravamo dei dilettanti, gente che si dilettava, non era un mestiere. Io continuavo a fare il grafico, venivo a Milano, incidevo e tornavo a fare il grafico. Luigi suonava e andava in università. C’era un’atmosfera diversa che non c’è più stata. Ci si aiutava tra di noi.
[…]
Gino Paoli e Nanni Ricordi
.
.
estratto da "TI RICORDI NANNI? - L'Uomo che Inventò i Cantautori" da un'idea di Claudio Ricordi - excelsior 1881 (2010)
.